03 Incontro e missione

Lectio Divina:

INCONTRO E MISSIONE

(don Steno Santi)

 



 

La fede, che dà coraggio

LA MADRE DEI MACCABEI

 La storia della mamma di sette fratelli Maccabei è una delle più esemplari nella Bibbia.

I fatti narrati da Giasone di Cirene raccontano le vicende del popolo di Dio in uno dei periodi più duri della sua vita. Antioco, uno dei vari successori di Alessandro Magno, voleva imporre gli Dei greci al posto di Jahvé. Contro questa imposizione nasce la resistenza dei Maccabei.

2 Maccabei 7,20-29:

 Soprattutto la madre era ammirevole e degna di gloriosa memoria, perché vedendo morire sette figli in un sol giorno, sopportava tutto serenamente per le speranze poste nel Signore. Esortava ciascuno di essi nella lingua paterna piena di nobili sentimenti e, temprando la tenerezza femminile con un coraggio virile, diceva loro: “Non so come siate apparsi nel mio seno; non io vi ho dato lo spirito e la vita, né io ho dato forma alle membra di ciascuno di voi. Senza dubbio il Creatore del mondo, che ha plasmato all’origine l’uomo e ha provveduto alla generazione di tutti, per la sua misericordia vi restituirà di nuovo lo spirito e la vita, come voi ora per le sue leggi non vi curate di voi stessi”. Antioco, credendosi disprezzato e sospettando che quella voce fosse di scherno, esortava il più giovane che era ancora vivo; e non solo a parole, ma con giuramenti prometteva che l’avrebbe fatto ricco e molto felice se avesse abbandonato gli usi paterni, e che l’avrebbe fatto suo amico e gli avrebbe affidato cariche. Ma poiché il giovinetto non badava per nulla a queste parole, il Re, chiamata la madre, la esortava a farsi consigliera di salvezza per il ragazzo. Dopo che il Re la ebbe esortata a lungo, essa accettò di persuadere il figlio; chinatasi verso di lui, beffandosi del crudele tiranno disse nella lingua paterna: “Figlio, abbi pietà di me che ti ho portato in seno nove mesi, che ti ho allattato per tre anni, ti ho allevato, ti ho condotto a questa età e ti ho dato il nutrimento. Ti scongiuro, figlio, contempla il cielo e la terra, osserva quanto vi è in essi e sappi che Dio li ha fatti non da cose preesistenti; tale è anche l’origine del genere umano. Non temere questo carnefice ma, mostrandoti degno dei tuoi fratelli, accetta la morte, perché io ti possa riavere insieme con i tuoi fratelli nel giorno della misericordia”

La madre dei Maccabei: una fede, che si illumina di speranza, che è promessa nelle promesse di Dio. Allora la femminilità si manifesta nella sua fortezza e in tutta la sua dolcezza.

La crisi dei nostro tempo non è forse una crisi di speranza?

Dio è fedele al Suo progetto. Abbiamo dato al provvisorio un valore assoluto. Ma è l’Assoluto che dà valore e senso al provvisorio.

La madre dei Maccabei: è una donna innamorata della vita. Ritorna alla sorgente della esistenza e dell’amore. Mentre prepara il figlio alla morte, gli parla con fede del Signore, che dona la vita nel tempo e nell’eternità. La fede in Dio allaccia e congiunge due appuntamenti, due nascite profondamente unite fra di loro: tutte e due dono di Dio ed incontro con Dio. Il credente vive e valorizza il suo tempo e la sua storia non con la paura che deriva da una speranza chiusa dalle cose e nelle cose, ma con una speranza aperta al mistero del Regno di Dio. La morte non è l’ultima parola che si può dire sull’uomo, ma la penultima.

La fede, dono condiviso

Rut, una delle figure più celebri della Bibbia, non è un’ebrea: è una Moabita. Appartiene a un popolo che tante volte ha combattuto contro Israele. Rut è uno dei pochi nomi dell’Antico Testamento giunti al Nuovo Testamento. Nella genealogia di Gesù, figura anche questa straniera. Rut è la nonna del Re David.

Rut 1, 6-8; 14-17:

 Allora si alzò con le sue nuore per andarsene dalla campagna di Moab, perché aveva sentito dire che il Signore aveva visitato il suo popolo, dandogli pane. Partì dunque con le sue due nuore da quel luogo e mentre era in cammino per tornare nel paese di Giuda, Noemi disse alle due nuore: “Andate, tornate ciascuna a casa di vostra madre; il Signore usi bontà con voi, come voi avete fatto con quelli che sono morti e con me!” Allora esse alzarono la voce e piansero di nuovo; Orpa baciò la suocera e partì, ma Rut non si staccò da lei. Allora Noemi le disse: “Ecco tua cognata è tornata al suo popolo e ai suoi dei; torna indietro anche tu, come tua cognata”. Ma Rut rispose: “Non insistere con me perché ti abbandoni e torni indietro senza di te; perché dove andrai tu andrò anch’io; dove ti fermerai mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio; dove morirai tu morirò anch’io e vi sarò sepolta. Il Signore mi punisca come vuole, se altra cosa che la morte mi separerà da te”.

Dio si serve di persone semplici, di storie umili e nascoste, di disponibilità che non fanno rumore alcuno, per realizzare la Sua storia di amore e salvezza. La dolcezza, la discrezione, la generosità di Rut – la straniera – diventano dedizione e dono di sè. La vicenda, iniziatasi con la trasmigrazione di una famiglia sotto il pungolo della carestia, si conclude con il fulgore dell’orzo abbondante, in Betlemme, casa del pane, dove un giorno dalla discendenza di Rut, la moabita, la straniera, nascerà il Messia “pane vivo disceso dal cielo”.

La vita di ciascuno di noi, delle nostre famiglie, nella semplicità del quotidiano e alla luce della fede, continua la “storia sacra” che Dio scrive, con amore, per la salvezza di tutta l’umanità. Rut accoglie Noemi e la sua famiglia, Noemi accoglie, con generoso affetto, Rut. Booz apre la sua casa, il suo campo con delicato rispetto, a Rut.

Teniamo aperte le porte della nostra vita per accogliere, come un dono, il fratello per ascoltarlo e condividere con amore il cammino della vita.

E’ meglio camminare più piano, ma insieme: si arriva prima, perché si arriva tutti.

 

La fede, si fa preghiera

 La storia di Ester è altamente drammatica e ha personaggi tipici.

Assuero: il sovrano orientale, Aman: nemico irriducibile degli Ebrei, Mardoccheo: il patriota furbo e devoto, Ester: la giovane dolce e delicata, che incanta tutti con la propria grazia e porta l’amore della sua patria e della sua grinta fino all’eroismo. Il suo unico sostegno, la sua forza è una fiducia grande e tenace in Dio.

Ester 4, 17k-17l-17t:

 In quel tempo, la regina Ester cercò rifugio presso il Signore, presa da un’angoscia mortale. Si tolse le vesti di lusso e indossò gli abiti di miseria e di lutto; invece dei superbi profumi si riempì la testa di ceneri e di immondizie. Umiliò molto il suo corpo e con i capelli sconvolti si muoveva dove prima era abituata agli ornamenti festivi. Poi supplicò il Signore e disse: “Mio Signore, nostro re, tu sei l’unico! Vieni in aiuto a me che sono sola e non ho altro soccorso se non Te, perché un grande pericolo mi sovrasta. Quanto a noi, salvaci con la tua mano e vieni in mio aiuto, perché sono sola e non ho altri che te, Signore!”

 

 

Ester ha offerto tutta la sua vita: la giovinezza, la femminilità, la bellezza, l’amore per il bene del suo popolo. Ma Dio è il suo unico sostegno. A Lui si rivolge con una dolcissima e accorata preghiera, prima di incontrare il re Assuero. Osserviamo il suo atteggiamento interiore ed esteriore nel momento solenne e semplice della preghiera: umiltà, povertà, distacco, mortificazione, abbandono nelle mani di Dio.

Spesso la nostra preghiera è l’ultimo rifugio quando abbiamo perduto ogni altra speranza umana. Invece dovrebbe essere la prima risorsa, il primo momento, che ispira ogni altro della vita. Noi forse crediamo anche in Dio.

Dovremmo invece credere solo in Dio. “Tu sei l’unico” “Sono sola, non ho altri che Te”. Da questa fiducia assoluta in Dio, nasce per Ester il grande amore e la solidarietà per il suo popolo. La sua è una preghiera solitaria: una giovane che si affida, rischiando se stessa, a Dio; ma la sua supplica diventa corale, è il grido di tutto un popolo.

È la preghiera fiduciosa che non ci fa essere spettatori distaccati o timorosi o critici delle vicende umane, ma partecipi e portatori di speranza e di fiducia.  

 

La fede, dono accolto

LA Cananea

Una volta Gesù si ritirò fuori dei confini della Palestina, al Nord, in Fenicia. Aveva bisogno di silenzio e di riposo: cercava l’incognito. Ma non gli “riuscì di restare nascosto”. Una donna lo andò a cercare. Una povera donna di cui non è stato tramandato il nome. Una donna che aveva da chiedere qualcosa che non poteva essere rimandato: sua figlia era posseduta dal demonio.

 Matteo 15, 21-28:

 Partito di là, Gesù si diresse verso le parti di Tiro e Sidone. Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quelle regioni, si mise a gridare: “Pietà di me, Signore, figlio di Davide. Mia figlia è crudelmente tormentata da un demonio”. Ma egli non le rivolse neppure una parola. Allora i discepoli gli si accostarono implorando: “Esaudiscila, vedi come ci grida dietro”. Ma egli rispose: “Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele”. Ma quella avvicinò e si prostrò dinanzi a lui dicendo: “Signore, aiutami!”. Ed egli rispose: “Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini”. “E` vero, Signore, disse la donna, ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni”. Allora Gesù le replicò: “Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri”. E da quell’istante sua figlia fu guarita.

 

Il candore del cuore, lo slancio e la tenacia della fiducia, diventano una fede che si accende. C’è un rapporto profondo tra preghiera e fede, come tra il seme e il solco aperto della terra. La preghiera dispone la nostra vita ad accogliere il dono della fede.

Tra Gesù e la donna Cananea nasce una sfida affettuosa, anche se severa (figli e cagnolini – ebrei e pagani – pane e briciole). Non c’è solo fermezza ed insistenza nella donna, ma anche tanta umiltà.

La fede nasce nella umiltà del cuore.

La fede supera i limiti razziali.

La vera decadenza religiosa del nostro tempo non sta nell’essere cattolici, protestanti, ebrei, musulmani, induisti, buddisti ecc., ma piuttosto nell’essere incoscienti e cattivi fedeli di queste religioni.

“Donna, grande è la tua fede”. Ecco come si diventa grandi agli occhi di Dio. Un cammino d’amore, di sofferenza, di impegno, di preghiera accorata, tenace, umile. Sono capace di accogliere, stimando e dando fiducia a chi è lontano dalla fede?

  1. La fede, in ascolto

Gesù voleva bene a Marta e alla sorella di lei, Maria e a Lazzaro. La loro casa era il suo rifugio. Ci veniva a riposare e a rasserenarsi. Una casa dove si respirava la gioia dell’amicizia. Gesù era un amico che passava, felice, qualche ora fra amici. Non sappiamo come i tre avessero conosciuto Gesù, ma sappiamo quello che conta: “si volevano bene”: Gesù amava Marta, sua sorella e Lazzaro.

 Luca 10, 38-42:

Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo accolse nella sua casa. Essa aveva una sorella, di nome Maria, la quale, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola; Marta invece era tutta presa dai molti servizi. Pertanto, fattasi avanti disse: “Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti”. Ma Gesù le rispose: “Marta, Marta, tu ti preoccupi per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c’è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore “.

 Non è difficile riconoscersi in Marta che si affanna per molte cose.

Anzi sembra che Maria abbia scelto la parte più “comoda”.

Per Gesù, invece è la parte “migliore”.

È la parte dell’ascolto, della contemplazione, dell’adorazione, della meraviglia. È la parte che ci fa scoprire il valore ed il significato dell’azione. L’azione senza contemplazione diventa affanno, preoccupazione. Gli uomini, oggi, corrono sempre più in fretta. Il cristiano non ha il compito di rincorrere il mondo, di mettersi al passo di tutte le mode.

Dobbiamo avere il coraggio di fermare l’uomo di oggi, dirgli che correre non vuol dire crescere.

Che il vero progresso non consiste nell’andare più in fretta, ma nello sviluppo armonico della persona. Dirgli che correndo, è diventato distratto, non si accorge più di sé e degli altri.

Dirgli che l’aumento delle conoscenze è utile solo se unito ad un aumento della coscienza, l’aumento della potenza è pericoloso se non è accompagnato da un aumento di saggezza. Non c’è più il tempo di domandarci “perché“, di cogliere il senso ed il significato dell’esistere. In fondo, il Signore ci chiede di sostare un istante. La parte migliore è quella di chi si accorge della Sua presenza.

Allora il silenzio diventa più eloquente della parola.

La fede, canto di lode

Ciò che di sicuro sappiamo di Maria, lo sappiamo dal Vangelo. Perciò è più che giusto, per incontrare Maria, tornare con semplicità al Vangelo e rimeditare ognuna delle sue parole. Le pochissime parole che il Vangelo ci tramanda e che, comparate ai lunghissimi silenzi, risultano vitali ed esemplari per la vita di ogni uomo.

 Luca. 1, 38:

 Allora Maria disse: “Eccomi, sono la serva de1 Signore, avvenga di me quello che hai detto” E l’angelo partì da lei.

 Giovanni 19, 25-27

 Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Cleofa e Maria di Magdala. Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: “Donna, ecco il tuo figlio!” Poi disse al discepolo: “Ecco la tua madre!”. E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa.

“Come avverrà questo se non conosco uomo?” La prima parola che il Vangelo registra della Vergine, non è di soddisfazione, di gioia, ma ferma richiesta di spiegazioni.

Chiedere spiegazione a Dio con cuore umile e docile, è un modo di pregare, per entrare responsabilmente e liberamente nel progetto di Dio.

“Ecco la serva del Signore; si faccia di me secondo la Tua parola” La seconda parola di Maria è quella della accettazione totale e immediata. Non è diventata soltanto la “serva” di Dio, ma anche la nostra.

Ogni madre è serva. Ogni esistenza è un dono e un servizio.

“Magnificat”: la terza parola di Maria. Nel “Magnificat” Maria riassume tutta la storia del popolo di Dio e la colloca nel segno della Misericordia. Tutto viene da Dio, tutto scaturisce dall’amore e ritorna all’amore. È un grido di gioia personale, ma anche un canto corale della storia umana. Tutto il dramma spirituale dell’umanità è adombrato nel “Magnificat”.

Il dramma dell’orgoglio e della umiltà.

Non è annunziata l’uguaglianza, ma la giustizia.

La quarta parola di Maria è la parola di una donna che “non capisce” e dice: “perché”? Ma medita, riflette, prega. Dio non ci chiede di “capire” ma di fidarci di Lui. La contemplazione, il silenzio, la preghiera ci aiutano a vedere con gli occhi d Dio.

La quinta parola di Maria è agli inizi del ministero pubblico di Gesù a Cana in una festa di nozze: “Non hanno più vino”, “Fate quello che Lui vi dirà”. Una parola legata alla “Sua ora “, all’ora di Dio. Dio non ha tempo, non ha scadenze. L’ora di Dio è l’ora dell’Amore, della croce e della Risurrezione.

È adesso, per me, per te.