Persona – Ascolto – Dialogo

Lectio Divina:

ASCOLTO INCONTRO MISSIONE

(don Steno Santi)

 



 

Relazione non è rivalità

Genesi 4, 1-8:

Adamo si unì a Eva sua moglie, la quale concepì e partorì Caino e disse: «Ho acquistato un uomo dal Signore». Poi partorì ancora suo fratello Abele. Ora Abele era pastore di greggi e Caino lavoratore del suolo. Dopo un certo tempo, Caino offrì frutti del suolo in sacrificio al Signore, anche Abele offrì primogeniti del suo gregge e il loro grasso. Il Signore gradì Abele e la sua offerta, ma non gradì Caino e la sua offerta. Caino ne fu molto irritato e il suo volto era abbattuto. Il Signore disse allora a Caino: “Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo volto? Se agisci bene, non dovrai forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, ma tu dòminalo”. Caino disse al fratello Abele: “Andiamo in campagna!” Mentre erano in campagna, Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise.

II racconto si apre con una indicazione di luce: la nascita, la vita. Ed abbiamo anche la prima preghiera riferita alla Bibbia: “Ho acquistato un uomo dal Signore”. Ma presto l’orizzonte si colora di sangue: “Caino alzò le mani contro il fratello e lo uccise”. I due attori della vicenda sono due modelli di vita personale e sociale, agricola e pastorale.

Abele è benedetto da Dio. “Gradiva il suo sacrificio”. E questo fa scattare l’invidia, che diventa violenza, irritazione, ira bruciante. L’invidia è come il fuoco, consuma, devasta, perché è ricerca affannosa, esasperata dell’esteriorità, dell’apparire più degli altri, sopra gli altri. L’invidia diventa concorrenza senza legge e senza morale, genera rivalità, inimicizia, vuole sopprimere l’altro.

Storia dei nostri giorni: lotte finanziarie, concorrenza spietata nel lavoro, nella scuola, nella politica, nei commerci, nei concorsi… anche di bellezza Siamo nella civiltà dell’immagine, dell’apparenza. Vogliamo diventare personaggi, dimenticando di essere persone. Anche dentro di noi coabitano Caino e Abele (che significa soffio, respiro) che è la parte più vera, nobile, delicata e forse fragile di noi stessi, è sacrificata da Caino per la esteriorità della vi

Relazione non è declinare ogni responsabilità

Genesi 4,9-16:

 Allora il Signore disse a Caino: « Dov’è Abele, tuo fratello?». Egli rispose: «Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?». Riprese: «Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! Ora sii maledetto lungi da quel suolo che per opera della tua mano ha bevuto il sangue di tuo fratello. Quando lavorerai il suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti: ramingo e fuggiasco sarai sulla terra». Disse Caino al Signore: «Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono? Ecco, tu mi scacci oggi da questo suolo e io mi dovrò nascondere lontano da te; io sarò ramingo e fuggiasco sulla terra e chiunque mi incontrerà mi potrà uccidere». Ma il Signore gli disse: «Però chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte!». Il Signore impose a Caino un segno, perché non lo colpisse chiunque l’avesse incontrato. Caino si allontanò dal Signore e abitò nel paese di Nod, ad oriente di Eden.

  “Caino dov’è tuo fratello Abele?”. Invano Caino cerca di sottrarsi a quello sguardo inesorabile, perché non è esterno a lui, ma insediato nella sua stessa coscienza. Caino cerca persino di reagire con arroganza: “Sono forse io il custode di mio fratello”? E l’atteggiamento di coloro (o anche il nostro) che cercano di declinare ogni responsabilità e ricorrono alla indifferenza, alla superficialità, alle coperture di comodo per far tacere la coscienza.

Forse può essere paura che si veste di spavalderia. “Che hai fatto”? Che abbiamo fatto della nostra vita, dei fratelli più deboli, degli ultimi, dei socialmente più sprovveduti, della bellezza della terra, della vocazione e della missione a noi affidata. Dovevamo essere collaboratori di Dio creatore, segno dell’amore di Cristo.

“Sarai ramingo e fuggiasco”

II termine ramingo vuoi dire vagabondare senza meta e fuggiasco significa andare a tentoni come un cieco. II peccato è solitudine, incomunicabilità con Dio, con i fratelli e con noi stessi. E questa solitudine disorientata non l’avvertiamo nel nostro tempo?

“Troppo grande è la mia colpa” A questo punto l’orizzonte si illumina; certo Caino deve espiare, ma è sotto la protezione di Dio. Ci sono dei bempensanti, che reclamano condanne esemplari, vendette ufficiali, pene di morte. Altri invece, devastati dall’odio, non conoscono che le parole della violenza e la legge del più forte. La nostra lettura, invece, approda ad una immagine del Dio che è “bontà e misericordia, lento all’ira e ricco di grazia”. La nostra riflessione si chiude con un filo di luce, gioia e speranza per noi e per il nostro tempo. 

Relazione è accoglienza

ABRAMO

Genesi 18,1-10:

 Poi il Signore apparve a lui alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno. Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: «Mio Signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passar oltre senza fermarti dal tuo servo. Si vada a prendere un po’ di acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Permettete che vada a prendere un boccone di pane e rinfrancatevi il cuore; dopo potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo». Quelli dissero: «Fà pure come hai detto». Allora Abramo andò in fretta nella tenda, da Sara, e disse: «Presto, tre staia di fior di farina, impastala e fanne focacce». All’armento corse lui stesso, Abramo, prese un vitello tenero e buono e lo diede al servo, che si affrettò a prepararlo. Prese latte acido e latte fresco insieme con il vitello, che aveva preparato e li porse a loro. Così mentr’egli stava in piedi presso di loro sotto l’albero, quelli mangiarono. Poi gli dissero: «Dov’è Sara, tua moglie?» Rispose: «È là nella tenda». II Signore riprese: «Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio». Intanto Sara stava ad ascoltare all’ingresso della tenda ed era dietro di lui.

La tradizione cristiana nei tre uomini del racconto biblico non ha visto solo tre Angeli messaggeri divini, ma la stessa Trinità.

Così i padri della chiesa commentano questo brano, così anche l’arte l’ha raffigurato.(Icona di Andrej Rublev) * Il testo è distinto in due quadri. Il primo descrive la sontuosa ospitalità ai tre personaggi. (vv. 1-8) II secondo quadro ci fa ascoltare il “riso di Sara”ed il “sorriso di Dio” (vv. 9-15)

* L’appello alla ospitalità dovrebbe essere ascoltato maggiormente da tutti, ma in particolare dai cristiani. Nel viaggio entusiastico e faticoso della vita, abbiamo bisogno di essere ospitati e di ospitare. Sentirsi accolti da Dio, come ospiti attesi e graditi è necessario per tutti.

* I sacramenti, la preghiera sono lo spazio privilegiato di questa accoglienza. Abbiamo anche bisogno di essere accolti, amati e perdonati dai fratelli. È più facile accogliere, che sentire l’esigenza di essere accolti, perché questo suppone l’esperienza della nostra povertà. Gesù ama essere accolto nella casa degli amici (Lazzaro, Marta, Maria, Pietro…) dei peccatori (Zaccheo, Matteo…) dei farisei, dei sofferenti, nelle nostre case.

* Ospitare i fratelli tutti: “poveri, ciechi, zoppi, buoni e cattivi”; ospitarli soprattutto nel nostro cuore e nella nostra vita. Ospitare il fratello nella casa è un gesto che spesso gratifica e ci mette in pace con la coscienza. Condividere il suo problema, ospitare la sua sofferenza, la sua solitudine, la sua inquietudine nella nostra vita, ci apre ad una partecipazione ed ad una comunione che non ci lascia più.

 

Relazione è messaggio di gioia e di festa

Genesi 18, 11-15:

Abramo e Sara erano vecchi, avanti negli anni; era cessato a Sara ciò che avviene regolarmente alle donne. Allora Sara rise dentro di sé e disse: «Avvizzita come sono dovrei provare il piacere, mentre il mio signore è vecchio!». Ma il Signore disse adAbramo: «Perché Sara ha riso dicendo: Potrò davvero partorire, mentre sono vecchia? C ‘è forse qualche cosa impossibile per il Signore? Al tempo fissato tornerò da te alla stessa data e Sara avrà un figlio». Allora Sara negò: «Non ho riso!», perché aveva paura; ma quegli disse: «Sì, hai proprio riso».

II brano che abbiamo letto, ruota attorno alla promessa del figlio e a quella del “riso” di Sara, simbolo della sua incredulità.

È il “riso” insensato dell’uomo di ogni tempo.

II “riso”dei gaudenti, per cui la vita è solo piacere e godimento.

II “riso” dei superbi, che credono di non aver bisogno di Dio.

Il “riso” degli indifferenti per cui la vita è solo un bene da consumare.

Il nostro “riso” di fronte al silenzio di Dio nel momento del dolore.

* In contrapposizione a quello di Sara, c’è il “sorriso”di Dio. Isacco il figlio atteso, significa “Ihwh ha sorriso”.

È il sorriso liberatore che nasce dalla fede. È la speranza, la fiducia nella presenza di Dio nella vicenda umana. E guardare al di là dalle cose. “Nulla è impossibile a Dio”. È messaggio di gioia e di festa. Non ti sembra che il nostro tempo abbia infinito bisogno del sorriso di Dio per non affogare nella tristezza, nel vuoto e nella mancanza di senso della vita?

Scheda 5

 

Relazione è soddisfare il bisogno essenziale della persona

LA SAMARITANA (prima parte)

 Giovanni 4,5-15:

Giunse pertanto ad una città della Samarìa chiamata Sicàr vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era il pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo. Era verso mezzogiorno. Arrivò intanto una donna di Samarìa ad attingere acqua. Le disse Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli infatti erano andati in città a far provvista di cibi. Ma la Samaritana gli disse: «Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non mantengono buone relazioni con i Samaritani. Gesù le rispose: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere! “, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli disse la donna: «Signore, tu non hai un mezzo per attingere e il pozzo è profondo; da dove hai dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede questo pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo gregge?» Rispose Gesù: “chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore, gli disse la donna, dammi di quest’acqua, perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua».

 I personaggi principali in questo passo del Vangelo di Giovanni sono Gesù e la donna Samaritana.

Il vero dialogo avviene tra loro. II resto (i discepoli, i compaesani…) …

L’incontro sembra casuale; è l’incontro di due bisogni elementari: la sete e l’acqua. Per la donna l’acqua del pozzo. Per Gesù l’acqua della rivelazione di Dio, che si fa dono nello Spirito. II Salvatore del mondo si fa bisognoso come gli altri uomini, per avere la possibilità di incontrarli nelle loro stesse necessità e dar loro il dono della Grazia.

È la meraviglia di un Dio che chiede per dare. Le domande della Samaritana e le risposte di Gesù, sembrano andare ciascuna per conto proprio: l’acqua del pozzo e l’acqua “che zampilla per la vita eterna”.

Gesù ci dona, ci comunica la vita stessa di Dio, la Grazia santificante, dono soprannaturale, che ci rende figli del Padre, partecipi della sua stessa natura e fratelli tra noi.

II Padre che è la vita, il figlio che è la Verità, lo Spirito che è l’Amore abitano in noi.

I sacramenti, la preghiera, il mistero della Chiesa, corpo mistico di Cristo, la comunione fraterna.., sono realtà che sgorgano da queste “acque di vita eterna”: la Grazia. Forse abbiamo perso un poco questa dimensione fondamentale, essenziale della vita cristiana e della Chiesa

Siamo più preoccupati dell’acqua del pozzo: le nostre efficienze, le nostre strutture, il consenso, cose che possediamo, che costruiamo, la concorrenza con gli altri, il prestigio…

C’è il rischio di svuotare il Messaggio cristiano dell’essenziale. Se curassimo di più la nostra spiritualità, la vita interiore, come si diceva una volta, diventeremmo anche per i fratelli una fonte di speranza e di luce.

Relazione è la verità da scoprire

LA SAMARITANA (seconda parte)

Giovanni 4,16-26:

Le disse: « Va’ a chiamare tuo marito e poi ritorna qui».  Rispose la donna: «Non ho marito». Le disse Gesù: «Hai detto bene  “non ho marito”; infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora  non è tuo marito; in questo hai detto il vero».  Gli replicò la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta.  I nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte e voi dite  che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare».  Gesù le dice: «Credimi, donna, è giunto il momento in cui  nè su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre.  Voi adorate quel che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo,  perché la salvezza viene dai Giudei. Ma è giunto il momento,  ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità;  perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli  che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità».  Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia (cioè il Cristo):  quando egli verrà, ci annunzierà ogni cosa».  Le disse Gesù: «Sono io, che ti parlo».

“Vedo che sei un profeta”.  È un vedere sorpreso, stupito, che fa pensare.  Gesù è entrato, con delicatezza e rispetto, nella esperienza personale  della donna. 

E la Samaritana ne approfitta per chiarirsi un problema: “dove incontrare  Dio”. È la domanda essenziale per ogni uomo.  Il luogo dell’adorazione, dell’incontro è lo spazio dello Spirito e  della Verità.  Adorare significa il modo di porsi davanti a Dio nella preghiera e  nella vita. È l’atteggiamento di chi riconosce il primato di Dio,

Padre, in tutto.  E il Padre “cerca” cioè desidera con passione, quasi lottando, tali  adoratori. Come intendere “in Spirito e Verità”, che è certamente  una delle più alte rivelazioni del quarto evangelo?  Lo Spirito è la forza attiva, è l’Amore, è lo Spirito Santo, che solleva  l’uomo dalla sua impotenza, per collocarlo nello spazio dell’incontro  con il Padre.

Questo spazio è la Verità.  E la verità è il progetto di salvezza di Dio, che si è svelato nella  “Parola fatta carne”. La Verità è Gesù.  Lui è il Tempio in cui Dio incontra l’uomo e in cui l’uomo si immerge  in Dio, Padre, Figlio e Spirito. 

“Credimi, donna”. “Sono io che ti parlo”.  Forse ci siamo troppo abituati a Gesù, da non considerarlo più  come attuale, contemporaneo. II rapporto con Lui, spesso diventa  una pratica da compiere, un affare da sbrigare, un dovere, un rito,  una cerimonia. 

La Verità è Qualcuno: Gesù.  Allora è una novità da scoprire e da incontrare sempre; è dono, ricerca,  attesa, luce, ombra, comunione, vita, speranza, perdono,  gioia. 

Relazione è lasciare, andare e dire

LA SAMARITANA (terza parte)

Giovanni 4, 27-42:

 In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliarono  che stesse a discorrere con una donna. Nessuno tuttavia gli disse  «Che desideri?», o: «Perché parli con lei?». La donna intanto lasciò  la brocca, andò in città e disse alla gente: «Venite a vedere un uomo  che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia?».  Uscirono allora dalla città e andavano da lui.  Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». Ma egli rispose:  «Ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». E i discepoli si  domandavano l’un l’altro: «Qualcuno forse gli ha portato da mangiare?».  Gesù disse loro: «Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato  e compiere la sua opera. Non dite voi: Ci sono ancora quattro mesi  e poi viene la mietitura? Ecco, io vi dico: Levate i vostri occhi e guardate  i campi che già biondeggiano per la mietitura. E chi miete riceve salario  e raccoglie frutto per la vita eterna, perché ne goda insieme chi semina  e chi miete. Qui infatti si realizza il detto: uno semina e uno miete.  Io vi ho mandati a mietere ciò che voi non avete lavorato; altri hanno  lavorato e voi siete subentrati nel loro lavoro».  Molti Samaritani di quella città credettero in lui per le parole della donna  che dichiarava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto».  E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregarono di fermarsi con loro  ed egli rimase due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e dicevano  alla donna: «Non è più per la tua parola che noi crediamo;  ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente  il salvatore del mondo». (Gv 4,27-42)

Quella donna Samaritana, è figura della Chiesa, “lasciò la brocca,  andò in città, disse alla gente…”.  In questi tre verbi (lasciare, andare, dire) si compendia la missione  della Chiesa.

Lasciò la brocca: dimenticare tante cose superflue, tanti falsi valori,  tante nostre parole, che hanno oscurato quelle di Gesù e la trasparenza  del Vangelo. Recuperare il valore del silenzio e della preghiera.  Lasciare o rivedere tante impalcature di un folklore o di un ritualismo,  che rassomigliano ad un recipiente vuoto.  Lasciare la brocca dell’isolamento per vivere uno stile di comunione  con Dio (vita interiore) e con i fratelli (vita ecclesiale e pastorale).

Andò in città: significa abbandonare l’oasi tranquilla delle nostre  comodità, delle nostre certezze e conquiste per condividere, amare  il nostro tempo con i suoi problemi, attese, gioie ed inquietudini.  Significa intraprendere la fatica del viaggio del pomeriggio, per incontrare  gli altri, non per conquistarli, ma per servirli.  Significa scegliere gli ultimi, vincere la paura di parlare con i poveri,  con quelli che non contano niente e sono la speranza della storia.  Significa non tenersi solo per sé il perdono di Dio, ma trasferirlo ai  fratelli. Andare a riconciliarci, lasciando l’offerta sull’altare.

E disse alla gente: “Venite a vedere…”.  È l’annuncio fatto con la vita, è la testimonianza umile e coerente,  è una esperienza di fede, comunicata. È una proposta che fa sorgere  una domanda: “Che non sia forse il Messia?”.  È non avere vergogna di Gesù e del Suo messaggio, di fronte ad  una mentalità superficiale, razionalistica e materialistica  È non avere paura di riconoscerci peccatori come persone e comehiesa, bisognosi sempre del perdono di Dio. È l’esperienza gioiosa  di annunciare sempre meno noi stessi ed indicare, con amore,  Gesù, Maestro e Signore.