Giggetto si chiamava il conducente del bus che ogni mattina partiva da piazza per andare a Viterbo e che da Viterbo riportava a Tuscania. Per lo più, erano insegnanti, impiegati e studenti. L’aria un po’ mesta e un po’ goliardica era sempre affannata per la ricerca di un posto per sedere.
Non è mai successo che don Leopardo, pur sostanziosa la sua corporatura, né alcun altro anziano, donna, ragazza, persone in qualsiasi modo riguardevoli, siano rimasti in piedi nel viaggio. La contesa del posto a sedere riguardava esclusivamente i giovani che, tra loro, allegramente guerreggiavano per occupare i posti, soprattutto nella piccionaia in fondo al bus.
Pur sconnessa la strada da Tuscania a Viterbo, il viaggio non era oltremodo faticoso: durava poco tempo, circa mezz’ora.
Quel giorno durò di più e fu lungo.
Giggetto, all’altezza della Ficoncella, fermò il bus. Scese a controllare qualcosa, risalì e sentenziò: Avemo bucato!.
Gli studenti: un grido d’applauso e battimani. Si ritardava l’ingresso a scuola e c’era la scusa.
Finalmente! Una cosa buona era successa al pullman di Garbini!
Gli altri poco soddisfatti: chi il lavoro, chi acquisti, chi medico o ospedale, erano preoccupati.
E mo’ come se fa?
Tocca cambia’ la gomma.
Studenti non contenti di collaborare, ma qualcuno, alla fine, si presta ad aiutare Giggetto.
Una voce stentorea, allora importante per Tuscania: Giggé … abbiamo bucato?
Eh! Sì avvoca’!
Eh! Te pare! … c’è ‘l prete!
Immediato, ‘l prete: Giggé!
Giggetto: Dica, Monsignore!
Da che parte avemo bucato?!
A sinistra, Monsignore!