Èsodo 20,1-17; Salmo 18 (19); 1Corìnzi 1,22-25; Giovanni 2,13-25
Abbandonarsi in Dio
1. Nelle Scritture dell’A.T. è scritto: «Io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso». La gelosia di Dio è chiarita così: «Non avrai altri dèi di fronte a me»; «Non ti farai idolo né immagine alcuna»; «Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai».
Lungo la vita nel deserto, per giungere alla Terra Promessa, il popolo ebraico comprende che il «Dio geloso» non è egoista, ma si mostra severo soltanto con «coloro che lo odiano».
2. Sempre in A.T. è scritto: «Sono apparso ad Abramo, a Isacco, a Giacobbe come Dio onnipotente, ma con il mio nome di Signore non mi son manifestato a loro». Agli antichi Padri Dio non sé è manifestato completamente né ha rivelato il suo Nome. Quale è il Nome vero di Dio?
3. La risposta è stata data da Gesù: «Dio è Amore e chi rimane nell’Amore rimane in Dio e Dio rimane in lui»; questo è il Nuovo Testamento. Dio, narrato da Gesù, è promessa di liberazione, di compagnia nel viaggio della vita. Già agli antichi Padri si era presentato, ma essi non erano stati capaci di comprendere: «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla condizione servile». È il Dio della liberazione da servitù antiche. Dio di generosità e misericordia «per quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti». È il Dio che «dimostra la sua bontà fino a mille generazioni». La misericordia è mille volte più grande della severità. È un Dio diverso dalle aspettative umane: «Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi annunciamo Cristo crocifisso». Il mondo, nel suo egoismo non riesce a comprendere l’Amore: questo Dio è «scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani».
Per chi riesce a distaccarsi dagli egoismi, «per coloro che sono chiamati, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio».
Attenti: «ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini; ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini».
4. Il passaggio dalla spiritualità dell’A.T. a quella del N. T. non accade magicamente: «Molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome, ma lui, Gesù, non si fidava di loro». Non è sufficiente l’osservanza della Legge né lo stupirsi di fronte ai miracoli. Gesù «conosceva quello che c’è nell’uomo»: credo per i miracoli e per quel che faccio. Non credo all’Amore. Dio si affida a noi; noi ci affidiamo a lui? O chiediamo miracoli e segni?
«I suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo e quando fu risuscitato dai morti, credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù».
Forse ho amato. Non sono l’Amore, che è solo dono di Dio. Ho fatto tante cose, non mi sono affidato. Non mi sono abbandonato nelle braccia dell’Amore.
(didon)